«Venezia e la sua laguna: lo sguardo degli artisti romeni del lungo Novecento»: Gheorghe Petraşcu, M. Seigfind, Nicolae Dărăscu

Gheorghe Petraşcu (1872–1949), Venezia, olio su cartoncino, cm 25x35,5, N. inv. 464, senza data [anni ‘20 del Novecento], firma in basso a sinistra: «G. Petraşcu», collezione del Museo della Regione delle Porte di Ferro di Drobeta–Turnu Severin (Romania).

Gheorghe Petraşcu (1872, Tecuci–1949, Bucarest) nacque nella città di Tecuci, nella Moldavia meridionale. I suoi genitori, Costache Petrovici–Rusciucliu e sua moglie Elena, nata Biţa, erano piccoli possidenti nella zona di Fălciu. Fratello di Nicolae Petraşcu (1859–1944), diplomatico, scrittore e critico d’arte e letterario, Gheorghe rivelò precocemente le proprie inclinazioni artistiche e compì i primi studi all’Accademia di Belle Arti di Bucarest. Successivamente, su raccomandazione del grande pittore Nicolae Grigorescu (1838–1907) ottenne una borsa di studio per perfezionarsi all’estero. Dopo un breve periodo trascorso a Monaco di Baviera si trasferì a Parigi, dove si iscrisse all’Accademia Julian e tra il 1899 e il 1902 lavorò nello studio del pittore accademista William–Adolphe Bouguereau (1825–1905). Fin dalla sua prima esposizione personale all’Ateneo Romeno (1900), Gheorghe Petraşcu fu apprezzato dagli scrittori Barbu Ştefănescu Delavrancea (1858–1918) e Alexandru Vlahuţă (1858–1919), che acquistarono una sua opera ciascuno. Con un entusiasmo travolgente dipinse paesaggi sia in Romania (Sinaia, Târgu Ocna, Câmpulung Muscel), sia all’estero: in Francia (Vitré, Saint-Malo), in Spagna (Ponte di San Martín di Toledo) e soprattutto in Italia (Venezia, Chioggia, Napoli). Nei suoi paesaggi la luce non cancella i contorni come accade invece nell’opera degli impressionisti, al contrario, le architetture rettilinee si impongono suscitando un’impressione di solidità. Da questo punto di vista, i paesaggi veneziani rivelano chiaramente l’anticonformismo di Petraşcu. L’artista evita le interpretazioni tradizionali, in cui il paesaggio della città lagunare non è che un pretesto per analizzare la rarefazione delle vibrazioni luminose, in eterno cambiamento sull’acqua, sui muri colorati e nell’aria limpida. C’è nella sua pittura un elogio della concretezza, delle realtà con cui entriamo continuamente in contatto, un elogio indubbiamente polemico nei confronti della tendenza alla polverizzazione dell’immagine tipica di alcune correnti impressioniste. Egli oppone al lirismo «seminatorista», legato alla cultura pastorale tradizionale a cui erano giunti alcuni epigoni di Ştefan Luchian (1868–1916) e Nicolae Grigorescu, una visione robusta, vitale del mondo. I colori di Petraşcu iniziarono, dal terzo decennio del XX secolo, a sottolineare con forza la matericità, la concretezza del mondo sensibile. Con la densità e la vitalità, ma anche con la lucentezza – evocando lo smalto della ceramica, i riflessi dell’argenteria popolare –, il pittore mette in evidenza i legami con la realtà, con le tradizioni dell’arte romena. Lo stile di Petraşcu si cristallizza, il suo linguaggio artistico acquista gradualmente i toni di un’individualità creatrice originale. Gheorghe Petraşcu espose in numerose personali a Bucarest, fra il 1903 e il 1923 all’Ateneo Romeno, poi al «Căminul Artei» (1926–1930), e raggiunse l’apice con le due retrospettive della Sala Dalles degli anni 1936 e 1940. A Venezia, dove si recava spesso per lavoro, vi soggiornò per ben dieci volte tra il 1902 e il 1939, partecipò più volte alla Biennale Internazionale d’Arte (1924, 1938, 1940, 1942, 1946). Nel 1929 Petraşcu vinse il Gran Premio dell’Esposizione Internazionale di Barcellona, e nel 1937 quello di Parigi.

(scheda a cura di Alice–Georgiana Fănaru; traduzione italiana di Anita Paolicchi)


M. Seigfind [?], Paesaggio di Venezia, tecnica mista (pastello a olio) su cartoncino, cm 39,5x33,5, N. inv. 15M, firma e data in basso a destra: «M. Seigfind, 1941», collezione del Museo della Regione delle Porte di Ferro di Drobeta–Turnu Severin (Romania).

Artista sconosciuto, probabilmente originario del Banato, il cui stile e tecnica espressiva suggeriscono l’appartenenza alla cultura pittorica tardo impressionista romena del periodo tra le due guerre mondiali. È un dipinto che raffigura un «campo totale» dell’ultimo tratto del Canal Grande fino alla congiunzione con il Canale della Giudecca, vale a dire la celebre vista dal Ponte dell’Accademia sulla monumentale Chiesa di Santa Maria della Salute.


Nicolae Dărăscu (1883–1959), Paesaggio di Venezia, olio su tela, cm 61x49,5, N. inv. 294, firma in basso a destra: «N. Dărăscu», senza data [prima metà del Novecento], collezione del Museo della Regione delle Porte di Ferro di Drobeta–Turnu Severin (Romania).

Nicolae Dărăscu (1883, Giurgiu–1959, Bucarest) fu uno dei più importanti pittori romeni del Novecento: artista rappresentativo della scuola nazionale di pittura che lui stesso contribuì a plasmare, in un clima culturale, fecondo e aperto a nuove idee, che segnò un salto di qualità delle arti visive in Romania nei primi decenni del XX secolo. Paesaggista per antonomasia, Dărăscu subì, durante il periodo di formazione e nei successivi soggiorni di lavoro in Francia, l’influsso degli ambienti impressionisti e di artisti neoimpressionisti, diventando uno dei migliori esponenti di queste correnti artistiche nella Romania del primo dopoguerra. Nicolae Dărăscu ha studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Bucarest, tra il 1902 e il 1906, sotto la guida del pittore accademista George Demetrescu Mirea (1852–1934). Conseguita la Laurea in Pittura, Dărăscu ottenne una borsa di studio per perfezionarsi presso l’Accademia Julian di Parigi, che egli desiderava frequentare, da una parte, perché spinto dall’ammirazione per gli artisti Nicolae Grigorescu (1838–1907) e Ştefan Luchian (1868–1916), entrambi formatisi in questa celebre istituzione privata, dall’altra perché condivideva con i neoimpressionisti non poche concezioni estetiche. All’epoca, infatti, Dărăscu era alla ricerca di una propria identità artistica, diversa da quella proposta in Romania da una creatività ancora legata alla tradizione dell’accademismo. Nel periodo parigino, Dărăscu studiò e lavorò dapprima all’Accademia Julian, sotto la guida di Jean–Paul Laurens (1838–1921), negli anni 1906–1907, quindi passò alla École des Beaux-Arts, studiando con Luc–Olivier Merson (1846–1920). Viaggiatore instancabile, che prediligeva la tecnica pittorica «en plein air», visse e lavorò nella Francia meridionale, a Tolone e a Saint-Tropez (1908), poi si trasferì a Venezia (1909) e da qui nelle verdeggianti campagne romene, disseminate di casali, frutteti, pascoli e tenute agricole; infine raggiunse il litorale del Mar Nero, in particolare Mangalia e Balcic, nella Dobrugia meridionale (1919). Rimase, comunque, fortemente legato agli ambienti artistici occidentali anche dopo il ritorno in patria, continuando ad ampliare i suoi orizzonti nella ricerca di nuove forme di espressione artistica. Dărăscu divenne uno dei paesaggisti maggiori e più originali, incisivi e dinamici, della scuola romena di pittura del primo Novecento, attestandosi tra i protagonisti dell’arte romena del primo dopoguerra. I primi tre decenni del Novecento furono probabilmente il periodo di maggior fermento dell’arte romena, di pari passo con il processo di modernizzazione della cultura e della società della Romania. Per la forza espressiva e la vitalità cromatica della sua opera, Dărăscu interpretò il genere del paesaggio secondo chiavi di lettura prevalentemente neoimpressioniste. Nei dipinti di Nicolae Dărăscu, il rapporto tra luce e colore si coniuga con la sensibilità che l’artista dimostra per il frenetico ritmo della vita quotidiana. Questa sensibilità è facilmente percepibile nelle tele che raffigurano paesaggi delle città portuali europee, nelle quali Dărăscu si trovò spesso a suo agio nel dipingere «en plein air» da varie angolature, impiegando una cromatica piuttosto costante: tonalità di blu, verde, rosso, giallo e a volte anche di indaco, bianco e nero. Pur eccellendo nei paesaggi marini e mediterranei, Dărăscu era affascinato dai giochi di luce che modulano il paesaggio rurale romeno, soprattutto nelle aree collinari, dove la linea dell’orizzonte si confonde con l’ondulato profilo delle alture pedemontane, ricoperte di pascoli e boschi di latifoglie. Quando l’artista si dedica invece al paesaggio urbano, è la città di Venezia ad assumere per lui un ruolo determinante. A Venezia Dărăscu tornò ogni volta che ne ebbe l’occasione. Vi soggiornò per un anno, tra il 1915 e il 1916, rientrando a Bucarest poco prima dell’ingresso della Romania nella Grande Guerra. Tornò poi con regolarità nella città marciana durante il dopoguerra, negli anni ‘20 e ‘30 del Novecento. Nicolae Dărăscu ha esposto a Bucarest in molteplici mostre personali (1911, 1913, 1914, 1924) e collettive (1919, 1937), ma la più ampia e rappresentativa, nella sua carriera artistica, è stata quella inaugurata nel 1936: una mostra personale che raccoglieva opere particolarmente rilevanti per il suo percorso artistico. Dărăscu ha esposto alcuni dei suoi dipinti alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nel 1940 e 1942. Nel 1936, ormai cinquantatreenne, Nicolae Dărăscu ottenne la cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Bucarest, dove insegnò anche dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, fino al 1950. Negli ultimi anni della sua vita, quando ormai la malattia gli impediva di lavorare a pieno ritmo, visse sulle colline della Romania meridionale, tra le cittadine di Câmpulung Muscel e Curtea de Argeş, dove si dedicò alla raffigurazione di particolari prospettive del paesaggio rurale.

(scheda a cura di Cristian Luca)