"Vedute. Poesie 1917-1923" (titolo originale: "Priveliști: poeme, 1917-1923")

Autore: Benjamin Fondane Fundoianu

Titolo: Vedute. Poesie 1917-1923

Anno: 2014

Casa editrice: Joker Edizioni

Traduzione di: Irma Carannante; a cura di: Giovanni Rotiroti e Irma Carannante


La poesia di Fundoianu non si riduce a essere una semplice veduta, pastello, scorcio di un paesaggio descrittivo realisticamente riconoscibile o oggettivamente identificabile. I suoi poemi sono aperti allo scambio, disposti ad accogliere l’alterità più inquietante di cui sono profonda- mente intrisi. Anche quando accennano alla noia profonda e alla crudeltà della malinconia “moldava”, queste poesie non corrono il rischio di chiudersi in sé stesse, perché il loro “soggetto” è fatto di immagini e di parola, e soprattutto perché questo “soggetto” parla quando vede, e risponde anche quando resta in silenzio. Il “soggetto” di Privelişti testimonia l’essere vedente, in cui si vede e si ascolta anche quando la struttura del mondo appare sorda e muta di fronte al reale desertico del disastro. Le Vedute di Fundoianu si lasciano guardare ed ascoltare a partire da certe tonalità emotive fondamentali, forse proprio a partire dal corpo pulsionale e simbolico della parola. In effetti, come ricordava alcuni anni fa Marin Mincu, Fundoianu si allontana programmaticamente dalla tradizione del genere paesaggistico romeno di impronta bucolica, com’era stato il caso di Alecsandri, Coşbuc e Pillat o dello stesso Eminescu, e «scrive una poesia originale, schizzando alcune “vedute” immaginarie, solo in apparenza bucoliche, calligrafando, in realtà, il diagramma interiore di certi campi di tensione, specifici della sensibilità espressionista». Per cui, mentre il modello tradizionalista si limitava a descrivere la natura del paesaggio, Fundoianu interpreta la stessa inventandola, creandola nuovamente, ossia ri-scrivendola a partire da certi frammenti di rappresentazione che possono essere ri-simbolizzati per meglio riannodare l’immaginario con il reale insostenibile. In tal senso, si è trattato per Fundoianu di liberare l’orizzonte del paesaggio natio a partire dal quale ciò che è stato distrutto nel disastro della guerra possa infine apparire nella sua originale e primigenia grandezza. Imparare a leggere nel paesaggio i segni lasciati dalla noia profonda, dalla tristezza moldava, e anche dall’eros derivato dalla frequentazione assidua del Cantico dei Cantici, significa per il poeta liberare l’originalità di un domandare e di un interrogare ciò che è degno di essere posto in questione. La lezione dell’Ecclesiaste e di Giobbe si trova sempre come sfumata sullo sfondo di questi componimenti.