«Venezia e la sua laguna: lo sguardo degli artisti romeni del lungo Novecento»: Oszkár Szuhanek

Oszkár Szuhanek (1887–1972), Barche a Venezia, olio su tela, cm 42x53, N. inv. 2954, firma e data in basso a sinistra: «Szuhanek, 1921», collezione del Museo d’Arte di Timişoara (Romania).

Oszkár Szuhanek (1887–1972), Paesaggio di Venezia, olio su cartoncino, cm 41,5x30, N. inv. 182, firma e data in basso a destra: «Szuhanek, 1927», collezione del Museo d’Arte di Timişoara (Romania).


Oszkár Szuhanek (1887–1972), pittore del Banato, proveniente da una famiglia di artisti vetrai con origini ceco–slovacche, crebbe e si formò in un’atmosfera artistica multiculturale che ne plasmò il gusto per la scoperta e per il dialogo con rappresentanti delle più diverse formule creatrici, scuole e sperimentazioni dell’epoca. Il talento manifestato fin dall’infanzia gli garantì il sostegno e la guida del pittore József Ferenczy (1866–1925), e, in seguito, una borsa di studio estremamente preziosa all’Accademia di Belle Arti di Budapest, offerta dall’allora sindaco di Timişoara, Carol Telbisz (1853–1914). Là Szuhanek studiò con rinomati artisti del tempo, come Ede Balló (1859–1936) e László Hegedűs (1870–1911), ed ebbe la possibilità di debuttare esponendo un’opera al Salone Nazionale di Budapest. Il talento, ma soprattutto il desiderio di scoprire una gamma quanto mai larga di tendenze e tecniche, lo spinsero a recarsi in Francia nel 1908 per studiare all’Accademia Julian, dove strinse amicizia con una serie di grandi artisti come Auguste Rodin (1840–1917), Amedeo Modigliani (1884–1920), Fernand Léger (1881–1955), Ivan Meštrović (1883–1962) e Pablo Picasso (1881–1973), ma anche con scrittori illustri, come Anatole France (1844–1924) e Rabindranath Tagore (1861–1941). Con tutto ciò, né l’atmosfera artistica né quella bohémienne di Parigi riuscirono a trattenerlo a lungo, al punto che Oszkár Szuhanek decise di lasciarsi alle spalle gli anni di lavoro intenso dell’atelier personale e i dipinti che rimasero nella capitale francese e partire per luoghi più soleggiati, più accoglienti e più stimolanti dal punto di vista emotivo. Lo troviamo quindi nel 1912 sulle coste del Mediterraneo: prima si recò in Italia, poi in Libia, Tunisia, poi tornò in Dalmazia, si fermò un periodo a Roma, dove seguì i corsi dell’Accademia Medici, stringendo amicizia con artisti e diventando membro dell’Associazione dei pittori tedeschi della Città Eterna. Il nefasto scoppio della guerra lo costrinse a tornare a Timişoara, ma superò questa infelice contingenza con un’attività creatrice estremamente prolifica. Nel 1922 la prima esposizione personale di Szuhanek riscosse un grande successo, proprio per la sua proposta di una sintesi delle tecniche, degli strumenti e delle filosofie estetiche con cui era entrato in contatto e che aveva approfondito nel corso di anni di viaggi. Era qualcosa di totalmente nuovo che rinvigorì la cultura artistica locale, offrendo suggestioni e modelli espressivi adatti all’epoca. Il plurilinguismo di Szuhanek – formato nell’infanzia, ma anche in occasione degli studi all’estero – dette i suoi frutti, permettendogli di accedere alle pubblicazioni e ai dibattiti dei grandi centri artistici. Parlava fluentemente l’ungherese, come lingua materna, il francese, il romeno e l’italiano; aveva imparato lo spagnolo per leggere Cervantes e l’inglese alla ricerca dei grandi misteri dell’arte insulare, e divenne così una fonte di ispirazione e di insegnamenti per gli artisti locali. Numerose furono le sue esposizioni personali a Timişoara, Arad e Cluj, e in seguito, ogni volta che gliene veniva offerta l’occasione, partecipò alle esposizioni collettive dell’Unione degli Artisti Plastici di Romania. Tornò in Italia, a Venezia, dove affittò uno studio e, nel periodo 1921–1927, si rallegrò di poter lavorare e di vivere in prima persona lo spirito lagunare.


Il ventaglio dei temi affrontati dall’artista è ampio, comprendendo rappresentazioni degli edifici simbolici di Timişoara e delle altre città in cui si è recato, o ritratti delle personalità che desideravano in tale maniera legittimarsi agli occhi degli abitanti, come il politico conservatore Constantin Lahovary (1848–1911), l’avvocato Kaspar Muth (1876–1966), il poeta Endre Károly (1893–1988). I suoi ritratti portano il segno della scuola francese. I personaggi sono ritratti su fondali scuri, per evidenziarne alcuni caratteri attentamente studiati. La gamma dei colori è limitata: l’ocra caldo per le figure e le mani, colori scuri per i vestiti. Nei ritratti femminili oscilla fra un approccio sobrio e la presentazione del modello all’aria aperta. I colori sono utilizzati con grande sicurezza, sovrapponendoli meticolosamente per ottenere l’effetto di riflessi luminosi. Ha dipinto anche parchi, piazze e strade. La vita semplice, di ogni giorno, la natura, le rive del mare hanno trovato ampio spazio nella sua opera, beneficiando di un approccio pieno di sensibilità. Alla sua morte, il 5 maggio 1972, Oszkár Szuhanek ha lasciato una ricca eredità artistica che si trova in numerose collezioni locali e internazionali.


I due paesaggi veneziani di Oszkár Szuhanek rappresentano zone della città note sia ad abitanti e visitatori, che agli amanti dell’arte. Nella prima opera, imbarcazioni da trasporto o da pesca sono rappresentate ancorate sulla banchina di Fondamenta Zattere ai Saloni; sulla sinistra della tela si distingue chiaramente il complesso seicentesco della «Dogana da Mar», con la sua torre sovrastata dalla Palla d’Oro su cui poggia la statua della Fortuna dello scultore Bernardo Falconi (c. 1630–c. 1697). Il secondo dipinto rappresenta il conosciuto Ponte dei Tre Archi, sul Canale di Cannaregio, edificato nel XVI secolo e ricostruito nel 1688 dall’architetto Andrea Tirali (1657–1737). L’artista utilizza in entrambe le opere una tavolozza luminosa e calda, con toni di giallo e crema per rappresentare gli edifici e le rive del canale Cannaregio, mentre in ocra rappresenta il Ponte dei Tre Archi e le sponde del Canale della Giudecca. Le acque dell’Adriatico sono dipinte con una giustapposizione di pennellate verde chiaro e bianco cenere che suggerisce una calma assoluta, interrotta soltanto da onde leggere. Szuhanek coglie un’immagine realistica della Venezia degli anni Venti del secolo scorso, in cui la personale chiave di interpretazione è quella cromatica, sia coloristica, sia di rapporto fra acqua, architettura e luce, mentre lo spazio urbano della città–porto e della città insulare è quello che ritroviamo, invariabile e altrettanto suggestivamente rappresentata, anche nelle opere degli altri artisti a lui contemporanei.


(scheda a cura di Cornel Seracin; traduzione italiana di Anita Paolicchi; foto dei dipinti: Maurizio Pavone)