Nicolae Dărăscu (1883–1959), Marina – Venezia, olio su tela, cm 49,5x60,5, N. inv. MNB 1952, firma in basso a destra: «Dărăscu», collezione del Museo Nazionale Brukenthal di Sibiu (Romania).
Nicolae Dărăscu (1883, Giurgiu–1959, Bucarest), uno dei più spettacolari rappresentanti della pittura romena della prima metà del XX secolo, è considerato il più importante pittore romeno di paesaggi veneziani. I suoi paesaggi, sempre incentrati sulla consistenza dell’acqua, parlano della relazione speciale che il pittore ha con l’elemento acquatico e della fascinazione che questo esercita sul suo occhio e sulla sua sensibilità artistica, condizionata dall’aver vissuto i primi anni di vita in una città sulle sponde del Danubio. Dopo gli studi a Bucarest e a Parigi, dove il giovane pittore assimila avidamente le lezioni neo- e post-impressioniste, la gioia nel dipingere paesaggi trova la sua realizzazione nel ritmo sostenuto dei viaggi in Francia, Italia, Inghilterra e Spagna, e nei periodi trascorsi in alcune suggestive località romene: la capitale, i possedimenti del collezionista Alexandru Bogdan–Piteşti (1870–1922) di Vlaici, Balcic, Mangalia, Tulcea. La sfida di cogliere i riflessi e la lucentezza dello spettacolo che nasce dall’incontro di acqua e luce si impone fin dal primo soggiorno nell’Italia settentrionale, a Venezia e Chioggia, nel 1910. In questo mondo di fluidità e scintillii, nel corso del processo di maturazione artistica, Dărăscu impara a trovare e mantenere la coerenza della forma. Alla quinta esposizione personale, nel 1927, quando le sue tele riverberano nuovamente la passione per la luce e il colore, Nicolae Tonitza (1886–1940) lo definisce, elogiandolo, degno successore della pittura dei francesi Pierre–Auguste Renoir (1841–1919) e Claude Monet (1840–1926).
Nell’opera «Marina», l’artista lega tre simboli leggendari della città lagunare: le gondole, collocate in primissimo piano, e, oltre le acque vibranti del Canal Grande, la Basilica di Santa Maria della Salute e il complesso seicentesco della «Dogana da Mar», con la sua torre sovrastata dalla Palla d’Oro su cui poggia la statua della Fortuna dello scultore Bernardo Falconi (1630–1697). Il dinamismo dell’immagine, il cui intero complesso cromatico è fondato sui toni del blu, è ottenuto con una pennellata agitata, libera, rapida, attraverso i riflessi dell’acqua e l’alternanza delle orizzontali, delle verticali e delle diagonali compositive.
(scheda a cura di Iulia Mesea; traduzione italiana di Anita Paolicchi)
Elena Popea (1879–1941), Paesaggio marino (Isola di San Giorgio Maggiore), olio su cartoncino, cm 26x65,7, N. inv. MNB 2640, firma in basso a destra: «E. Popea», collezione del Museo Nazionale Brukenthal di Sibiu (Romania).
Con una biografia tumultuosa, ancora oggi con molte zone d’ombra, avvolte dal mistero, Elena Popea (1879, Braşov–1941, Bucarest) è stata una delle personalità più complesse e originali della pittura romena della prima metà del XX secolo. Nata a Braşov, in una famiglia di intellettuali romeni che le ha assicurato un’educazione nei più prestigiosi centri artistici del tempo, Elena Popea ha studiato all’Accademia Femminile di Belle Arti di Monaco di Baviera, poi a Parigi con Lucien Simon (1861–1945) e André Lhote (1885–1962), nomi di spicco dell’universo artistico francese. Dopo aver fissato così i propri punti di riferimento nel paesaggio artistico europeo, l’artista – aperta verso influenze innovatrici, avida di conoscenza e con un inestinguibile piacere per le sperimentazioni – è partita da una figuratività «tranquilla», accademica, che ne ha caratterizzato la prima produzione, è passata attraverso la ricezione della cromia impressionista e delle influenze postimpressioniste, ed è riuscita infine a crearsi uno stile personale e a conferire alle sue opere un’espressività ottenuta tramite un processo di epurazione del dato accidentale. Lo stile che sviluppa nella fase della maturità creatrice, definito dalla critica d’arte «cubismo ingentilito», la colloca, a un certo punto, nella prima linea dell’avanguardismo romeno.
Viaggiatrice appassionata, Elena Popea ha impresso nei suoi dipinti i tratti essenziali dei soggetti scelti, il «profumo» del luogo, spesso in immagini dalla drammatica esplosività, più raramente dal tono sentimentale. È il caso anche del dipinto in cui rappresenta l’Isola di San Giorgio Maggiore, vista dall’isola principale della laguna veneziana. L’ambiente acquatico le impone un’esecuzione con una pennellata controllata e una lavorazione del colore che richiama la trasparenza e l’evanescenza dell’acquarello. Gli edifici dell’isola, la Chiesa di San Giorgio Maggiore con la torre campanaria e l’omonimo monastero benedettino, progettati dal celebre architetto Andrea Palladio, si impongono per la loro monumentalità. Il marmo bianco della chiesa risplende sopra le acque blu della laguna a cui il sole al tramonto dona riflessi rosati. Più in alto, un tramonto fiammeggiante sembra contrapporsi all’elemento marino, in un mirabile poesia di mare e cielo, che avvolge e mette in evidenza la bellezza delle opere dell’uomo. Il Museo Nazionale Brukenthal è fortunatamente il detentore di uno dei più ricchi fondi di opere firmate dalla pittrice Elena Popea.
(scheda a cura di Iulia Mesea; traduzione italiana di Anita Paolicchi)
Adam Bălţatu (1889–1979), Paesaggio di Venezia, olio su cartoncino, cm 64x49, N. inv. MNB 2976, firma in basso a sinistra: «Bălţatu», collezione del Museo Nazionale Brukenthal di Sibiu (Romania).
Nel corso di una carriera artistica di successo, Adam Bălţatu (1889, Huşi–1979, Bucarest), rappresentante di spicco dell’arte romena del XX secolo, ha affrontato con destrezza tutti i generi pittorici, ma la sua vera vocazione è stata senza dubbio il paesaggio, il genere più congeniale alla sua sensibilità creatrice. All’Accademia di Belle Arti di Iaşi, Bălţatu ha conosciuto e si è avvicinato all’arte dei maestri romeni Nicolae Grigorescu (1838–1907) e Ştefan Luchian (1868–1916), che ne hanno quindi influenzato lo stile fin dalla giovinezza. Si è formato poi all’Istituto Superiore di Belle Arti di Roma e in un viaggio di studio a Parigi, periodo in cui ha subito la fascinazione dell’arte di Eugène Delacroix (1798–1863), Jean–Baptiste–Camille Corot (1796–1875), Gustave Courbet (1819–1877), Honoré Daumier (1808–1879) e, soprattutto, dell’atmosfera e della luce della pittura di Claude Monet (1840–1926), in cui ha trovato ispirazione per la propria visione artistica. L’artista si è recato per la prima volta in Italia all’inizio degli anni Venti e, attratto dal fascino speciale di questi luoghi, vi è tornato a più riprese nel periodo interbellico. Ciononostante, il paesaggio veneziano non è un tema frequente nella sua produzione, la sua preferenza si è infatti indirizzata verso temi ispirati dal paesaggio romeno. Anche quando dipinge la città lagunare, Adam Bălţatu lo fa in maniera personale, scoprendo sensazioni e atmosfere che di solito non si incontrano nei paesaggi veneziani di altri pittori.
Affrontando un soggetto nel quale si riconosce facilmente l’incantevole città italiana, il paesaggio della collezione del Museo Nazionale Brukenthal di Sibiu svela la preoccupazione dell’artista per la costruzione compositiva. Al contempo, con i contrasti che propone a livello formale e cromatico, con una certa rigidità delle architetture e la modulazione volumetrica, con interventi grigio scuro e nero nei contorni e nelle ombre, il paesaggio emana un’inattesa drammaticità.
(scheda a cura diIulia Mesea; traduzione italiana di Anita Paolicchi)